Un’esperienza di vita che merita di essere condivisa, un racconto che parla di speranza, cura e professionalità. Le parole di una paziente, che racconta la sua esperienza nel reparto di Neurochirurgia del San Camillo Forlanini di Roma, hanno riempito di orgoglio gli operatori sanitari che hanno voluto condividerle.
Il racconto
“Buongiorno vorrei rubare pochi minuti a chi legge. Grazie a chi mi asseconderà. Lo scorso mese, dopo un ricovero presso un’altra struttura, è risultata una “bella” ciste attaccata al mio cervello. Dopo una settimana di visite, monitoraggio, TAC, Risonanza, altri accertamenti ecc. è stato deciso che avrei dovuto subire un intervento di neurochirurgia. Immaginate l’impressione! Mi comunicano che sarei stata trasferita al S. Camillo. Il mio primo pensiero è stato: “Lì ci sono nata (66 anni fa) e adesso probabilmente ci morirò”. Con tanti pensieri, considerazioni, entro al Lancisi, 1° piano, Neurochirurgia (=inferno). Varco questa porta ed entro…in una capsula di paradiso. No, non sono pazza, anzi sono rinsavita da tante turbe.
Questo posto è una capsula di paradiso, a partire dal Primario Prof. Ricciuti, tutti i neurochirurghi, gli infermieri, gli OSS, il personale delle pulizie, chi ti porta il cibo, il cappellano Don Andrea (che io chiamo affettuosamente “il pretino”, è talmente giovane), gli studenti e vorrei non aver dimenticato nessuna categoria, insomma volevo dire che sono tutti, ma proprio tutti, meravigliosi! Sempre con il sorriso, disponibilità, ascolto, anche nei momenti difficili, mai un dramma. Mi hanno accompagnata con tranquillità, anche allegria, fino al giorno dell’intervento. Intervento che è stato veramente impegnativo, eseguito da una “ragazza” di 33 anni: Carolina Noya, ovviamente coadiuvata da un grande staff. Ora sono qui, capisco tutto, ho tutte le funzionalità fisiche in ordine, sono perfettamente autosufficiente (vivo da sola). Sappiate che qui si vive. Entra con tutta la fiducia del mondo. Vedrai che mi penserai tra qualche giorno, quando capirai che ciò che ho scritto è tutto vero. Ti auguro ogni bene, sei nelle mani migliori che esistano. Grazie per avermi sopportata.” – Conclude la paziente nel suo racconto di una storia di buona sanità, di quelle che ogni giorno andrebbero raccontate.