Riflessione sui principi fondanti del PD in un incontro promosso da Provincia Democratica

Obiettivo dell’incontro è stato quello di esplorare le ragioni di fondo per un partito europeista e riformista

Si è svolta nei giorni scorsi a Latina una partecipata iniziativa promossa dall’Associazione Provincia Democratica, incentrata sui principi e i valori fondanti del Partito Democratico. L’obiettivo dell’incontro è stato quello di esplorare le ragioni di fondo per un partito europeista e riformista, capace di proporsi come credibile alternativa di governo per l’Italia.

L’incontro è stato aperto dalla moderazione di Valentina Mattei e arricchito dai contributi di Gennaro Ciaramella, Giorgio Granato, Lorenzo Cervi e Leonardo Majocchi. Ad aprire il dibattito è stata la relazione del professor Stefano Ceccanti, che ha evidenziato una specifica difficoltà iniziale dell’esperienza del PD: le culture riformiste da cui esso deriva si sono sviluppate separatamente e all’interno di forze politiche dove erano strutturalmente minoritarie. La nascita del PD ha richiesto una mediazione culturale, in particolare tramite l’apporto della cultura liberale, necessaria per integrare visioni ideologiche originarie caratterizzate da tratti massimalisti e identitari, spesso accentuati nei momenti di sconfitta politica.

Secondo Ceccanti, tali spinte massimaliste emergono oggi con forza soprattutto su due fronti: la politica internazionale e le riforme istituzionali. In ambito internazionale, viene sottolineata la tendenza a isolare il principio del ripudio della guerra (art. 11 della Costituzione) dalle altre disposizioni dello stesso articolo, che legittimano la difesa in un quadro multilaterale. L’invito è a considerare l’intero impianto dell’articolo 11, insieme agli sviluppi successivi che hanno portato alla partecipazione italiana in organismi come NATO, Unione Europea e ONU. In questo senso, viene sostenuta la necessità di accompagnare il diritto con la forza, per evitare che prevalga la forza senza diritto: un principio che, ad esempio, giustifica il sostegno militare all’Ucraina.

In ambito istituzionale, viene criticata l’impostazione del premierato proposta dall’attuale governo, giudicata sbagliata. Non sarebbe però sufficiente opporsi in modo netto e assoluto: viene ritenuto necessario avanzare proposte alternative, come quelle già presenti nella tradizione del centrosinistra a partire dalla Tesi 1 dell’Ulivo, che promuovevano un sistema elettorale in grado di garantire la scelta del governo da parte dei cittadini con il sostegno della maggioranza assoluta, evitando premi di maggioranza che trasformano una minoranza relativa in maggioranza parlamentare.

La professoressa Claudia Mancina, docente di Etica ed ex parlamentare dei Democratici di Sinistra, ha espresso piena condivisione con la ricostruzione proposta da Ceccanti, individuando però ulteriori questioni cruciali. In particolare, ha criticato alcune espressioni culturali che a suo avviso influenzano negativamente il PD: visioni stataliste, assistenzialiste, pauperiste, antitecnologiche, conservatrici e in alcuni casi populiste. Queste visioni si contrappongono a un orientamento autenticamente riformista, favorevole alla crescita, all’innovazione e a un mercato regolato ma dinamico.

Secondo Mancina, il Partito Democratico risente ancora di una struttura incompiuta, che compromette la capacità di proporsi come forza di governo. Le alleanze sono necessarie, ma non possono sostituire l’elaborazione politica e progettuale. In questa prospettiva, è stato posto l’accento sulla necessità di definire con chiarezza la propria base sociale. Il PD, in quanto partito nazionale, dovrebbe ambire a rappresentare un’alleanza tra ceti diversi, come è avvenuto storicamente per la Democrazia Cristiana, il Partito Comunista e il Partito Socialista. Particolare attenzione dovrebbe essere rivolta oggi ai ceti medi, colpiti dalla globalizzazione e dai cambiamenti tecnologici.

La relatrice ha inoltre sottolineato la necessità di rispondere in modo concreto alle domande sociali emergenti: il tema delle disuguaglianze, dell’immigrazione e della sicurezza percepita, specialmente nelle periferie. Una gestione realistica e strutturata dei flussi migratori – evitando sia il lassismo che la propaganda securitaria – è considerata imprescindibile per riconquistare la fiducia delle comunità locali.

Infine, centrale è stata la riflessione sul lavoro. Secondo Mancina, il problema non si esaurisce nella questione del salario minimo, ma riguarda la bassa produttività del sistema economico e il conseguente depauperamento retributivo che colpisce l’intera classe media, non solo i lavoratori meno qualificati. Viene quindi ribadita la necessità di una politica industriale strutturata, orientata alla crescita, all’innovazione e a scelte strategiche, anche sul fronte dell’energia.

Mancina ha espresso inoltre una critica decisa nei confronti dei referendum proposti sul lavoro, ritenuti fuorvianti e potenzialmente dannosi per i lavoratori stessi. In particolare, il quesito sul reintegro dei licenziati non ripristinerebbe l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ma la versione prevista dalla legge Fornero, con il rischio di irrigidire il mercato del lavoro e scoraggiare le assunzioni.

In conclusione, entrambi i relatori hanno ribadito l’importanza di ancorare l’azione politica del Partito Democratico ai suoi valori fondanti: europeismo, riformismo e appartenenza al centrosinistra. Solo a partire da questi principi è possibile costruire un’alternativa di governo solida e credibile.

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