“Lavoro e dignità non possono più viaggiare su binari separati”: l’intervento di Confartigianato

"Nel nostro territorio, e in tutta Italia, l’artigianato continua a essere un argine contro la precarietà", il commento

Il recente Rapporto Istat 2025 ci restituisce un’immagine preoccupante dell’Italia: oggi avere un lavoro non equivale più ad avere una vita dignitosa. Un paradosso che dovrebbe interrogarci tutti, in particolare chi, come noi, rappresenta ogni giorno migliaia di micro e piccole imprese, il cuore pulsante del nostro tessuto produttivo.

Secondo i dati, oltre il 23% della popolazione italiana è a rischio povertà o esclusione sociale. Tra questi, sempre più spesso ci sono persone che un lavoro ce l’hanno. Il 21% dei lavoratori italiani – uno su cinque – rientra nella fascia del “lavoro povero”. E le fasce più colpite sono quelle che dovremmo tutelare con maggiore attenzione: giovani, donne, stranieri. Inaccettabile.

Nel nostro territorio, e in tutta Italia, l’artigianato continua a essere un argine contro la precarietà, ma anche noi siamo chiamati ad evolverci. La sfida non è solo creare posti di lavoro: è garantire qualità del lavoro. Dignità, stabilità, tutele. Non possiamo più accontentarci della quantità.

Per questo, come Confartigianato Latina, ribadiamo la necessità urgente di interventi concreti: serve un piano nazionale che sostenga la qualità occupazionale delle piccole imprese, vero motore economico delle comunità. È indispensabile investire in formazione qualificata, soprattutto per i giovani e per chi vive nei territori più fragili. Dobbiamo ridurre il divario di genere e offrire strumenti reali di conciliazione per le donne che vogliono lavorare senza rinunciare alla famiglia. È necessario semplificare l’accesso alle misure per l’autoimpiego e l’imprenditorialità, specialmente nelle aree del Mezzogiorno. La povertà assoluta, che coinvolge quasi 6 milioni di persone, non è solo un problema economico: è una frattura civile. Il fatto che oggi anche chi lavora non riesca a vivere con dignità è un segnale che qualcosa si è rotto nel contratto sociale. Il lavoro deve tornare ad essere una leva di crescita personale e collettiva. E questo è possibile solo se mettiamo al centro la persona, la formazione e la giusta valorizzazione del lavoro artigiano. Perché il lavoro, quello vero, non può e non deve mai essere povero.

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