Processo Karibu, il sistema dell’accoglienza trasformato in “affare di famiglia”: le spese folli e i retroscena inediti

Dalla relazione del commissario liquidatore si evidenzia come la cooperativa potrebbe aver distratto i fondi destinati ai richiedenti asilo

“Le somme risultano essere state di fatto in gran parte dissipate dai beneficiari finali (amministratori di Karibu) in acquisti e spese futili nonché per finanziare le attività estere di Maria Terese Mukamitsindo (Presidente) e dei suoi figli (sia di quelli che rivestivano la carica di consiglieri/amministratori che anche di quelli estranei alla compagine sociale), utilizzando pertanto le ingenti disponibilità della cooperativa (frutto di erogazioni/finanziamenti pubblici per finalità sociali) come un personale portafoglio di famiglia”. È solo uno dei passaggi contenuti all’interno di una relazione scritta da Francesco Cappello, commissario liquidatore della Karibu società cooperativa sociale integrata, i cui vertici sono coinvolti in un processo che si sta svolgendo a Latina.

Nelle 188 pagine di relazione che il commissario liquidatore ha spedito al Tribunale che si sta occupando del caso, si spiega con dovizia di dettagli come l’analisi dei flussi finanziari e della documentazione abbia consentito di rilevare che, nell’ambito della propria attività, la società cooperativa ha avuto modo di distrarre ingenti somme, peraltro derivanti da fondi pubblici nazionali ed europei, mediante pagamenti apparentemente privi di causa presso conti correnti esteri (principalmente Ruanda e Belgio) in favore di persone fisiche e giuridiche riconducibili all’organo amministrativo; pagamenti anch’essi apparentemente non giustificabili a favore di entità giuridiche italiane (Consorzio AID, Associazione Jambo Africa e Associazione Mukra), anch’esse riferibili agli amministratori e utilizzo da parte degli amministratori delle carte prepagate destinate allo svolgimento dell’attività, per scopi personali.

Il progetto Sprar

Il “core business” della società cooperativa Karibu consisteva nella gestione dell’accoglienza di emigranti attraverso i CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) su committenza delle Prefetture, e gli SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) operanti nei comuni di Sezze, Roccagorga, Monte San Biagio, Fondi, Aprilia, Maenza, Cisterna, Cori, Roccasecca, Terracina, Pontinia, Latina e Priverno. Lo SPRAR è costituito da una rete di enti locali che – per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata – accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. Tale sistema è assoggettato a regole ben precise e previste nel Manuale Unico di Rendicontazione, disposto dal Servizio Centrale del Ministero degli Interni, il quale fornisce indicazioni precise e strutturate sulla gestione dei richiedenti asilo e rifugiati. Le presenze, le erogazioni dei pocket money nonché tutte le spese di gestione dei migranti devono essere rendicontate al predetto servizio Centrale. Tra i principali obblighi a cui gli enti attuatori del progetto devono soggiacere vi è la tracciabilità dei flussi finanziari mediante l’utilizzo di uno o più conti correnti bancari o postali dedicati, anche non in via esclusiva, alle commesse pubbliche: “È  proprio nell’ambito della verifica del rispetto di tale indicazione (risultata palesemente violata) che il sottoscritto – si legge nella relazione del commissario liquidatore – ha potuto appurare che sui conti correnti bancari della procedura venivano effettuati, con cadenza quasi giornaliera, prelievi di contanti per somme comprese tra i 3 ed i 12 mila euro, in certi casi anche in spregio alle regole sull’utilizzo del contante”.

I ruoli all’interno della cooperativa

Un vero e proprio ‘affare di famiglia’, come del resto spiegato anche nell’ordinanza che ha stabilito le misure cautelari di Marie Terese e dei suoi figli, tra i quali Liliane, lady Soumahoro, sulla quale il commissario liquidatore dedica diverse righe della relazione: “Il suo legale comunicava che la Sig.ra Murekatete aveva promosso specifico procedimento penale per veder accertata la falsità della firma apposta al modulo di accettazione della nomina ad amministratrice della società, nonché delle sottoscrizioni apposte ai verbali consiliari a cui, a detta della Sig.ra Murekatete, quest’ultima non avrebbe mai partecipato. Invece, dalle verifiche effettuate dal sottoscritto, parrebbe che la Sig.ra Liliane Murekatete non abbia rivestito solo funzioni di “segretaria amministrativa”, ma abbia invece effettivamente agito da amministratore, esercitando attività di gestione finalizzata ad indirizzare l’operato della cooperativa e di controllo, anche gerarchico sulle attività dei collaboratori, nonché di rappresentanza esterna dell’ente. La stessa – si legge ancora nella relazione – partecipava attivamente alle riunioni del Consiglio di Amministrazione, che venivano peraltro fissate sulla base delle sue esigenze. I documenti attestano, ad avviso dello scrivente, il chiaro svolgimento di funzioni gestorie da parte della Sig.ra Murekatete. Funzioni che, peraltro, parrebbero essere esercitate in via continuativa dal momento della nomina a consigliera d’amministrazione della cooperativa, sino alla data di sottoposizione alla procedura di Liquidazione Coatta Amministrativa”.

Le spese non ritenute coerenti

Associazioni che a vario titolo sarebbero state foraggiate con fondi pubblici e, soprattutto, senza un’apparente causa di utilità rispetto al principio nobile che regola l’accoglienza dei richiedenti asilo politico. Soldi che lo Stato e la Comunità Europea metteva a disposizione per creare per quei disperati in fuga dalla fame e dalla guerra un minimo di condizione di integrazione e un futuro migliore. In più viaggi, spese varie, pranzi e cene. Questo nelle pagine scritte dal commissario liquidatore e alle quali servirà una risposta della Magistratura: “Dall’esame dei documenti è emerso che nel settembre 2017 veniva pagata con i soldi della cooperativa una cucina a marchio Scavolini Modello Gran Relais del valore di euro 11.500, che risulta essere stata consegnata a Latina all’indirizzo che, all’epoca, corrispondeva al domicilio della Sig.ra Marie Terese Mukamitsindo”, si legge ancora nella relazione.

Il processo riprenderà il prossimo 11 luglio

Intanto la fase processuale riprenderà il prossimo 11 luglio, con quella che potrebbe essere l’accettazione definitiva dei soggetti e degli enti che si sono costituiti parte civile. Resta il dubbio, lecito, se oggettivamente i Comuni che si sono costituiti abbiano subito un danno, ma gli avvocati di parte civile sono ottimisti rispetto alle richieste avanzate. Superata quella fase si entrerà nel vivo del dibattimento e, probabilmente, si comprenderà se anche il modo politico e quello amministrativo abbiano in qualche modo concorso, o almeno chiuso un occhio, rispetto al quadro che hanno ricostruito gli inquirenti.

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Simone Di Giulio
Simone Di Giulio
Direttore Responsabile Simone Di Giulio inizia a scrivere nel 2003 e nel 2006 entra nell’albo dei Pubblicisti dell’Ordine dei Giornalisti. Vanta diverse esperienze come redattore e corrispondente in alcuni quotidiani della provincia di Latina, come “Il Territorio” e “Il Tempo”. È stato direttore della rivista “Utopia Magazine”, del quotidiano online “Mondoreale” e caporedattore de “I Lepini”. Ha collaborato con alcune riviste e con enti pubblici ed ha partecipato come docente a corsi sulla comunicazione.

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