Adesso che i lavori di scavo e recupero dei rifiuti interrati in un’area del complesso industriale della ex Frigomarket Pacifico possono dirsi conclusi, vale la pena proporre un riassunto delle “puntate precedenti” per cercare di inquadrare la situazione e le ragioni che nel luglio di quest’anno avevano spinto i carabinieri del Nipaaf a ficcare il naso nel sito dismesso di via Carrara, a Tor Tre Ponti.
Tutto inizia sul finire dell’anno 2020, quando il giudice fallimentare impegnato nell’esperimento di gara per alienare il compendio industriale e recuperare così una parte delle somme vantate dai creditori dell’azienda fallita, si vede recapitare dal Consorzio Industriale una nota che lo invita a sospendere la procedura perché lo stesso Consorzio, ai sensi dell’articolo 63 legge n.448/98 per la riacquisizione coattiva dei siti industriali dismessi, si apprestava ad espropriare i beni in possesso della curatela. Il fine dell’iniziativa consortile era necessariamente quello di favorire il rilancio produttivo del sito. Rilancio che ad onor del vero era già dietro l’angolo, perché la gara per l’aggiudicazione del sito industriale era già fissata da lì a un mese o due, e vedeva opposte cinque diverse aziende interessate all’acquisizione, e pronte a contendersi il bene partendo da un’offerta minima di 4,5 milioni di euro. Ovviamente, ciascuna delle imprese concorrenti aveva intenzione di avviare lì una nuova attività produttiva, circostanza che da sola sarebbe dovuta bastare al Consorzio Industriale del Lazio per fare da spettatore e non intralciare la procedura fallimentare.
Procedura sospesa, esproprio a costo zero…e la strada scelta dal Consorzio
Ricevuta l’intimazione a sospendere la procedura, la curatela aveva correttamente avvisato le cinque società coinvolte nella gara per l’aggiudicazione: “L’esperimento di gara non si terrà più a causa dell’imminente esproprio dei beni della ex Frigomarket Pacifico da parte del Consorzio Industriale”. Con tanto di scuse e promessa di pronta restituzione degli anticipi già versati per l’ammissione alla procedura di vendita. Inevitabilmente, ciascuno dei partecipanti alla gara che non si sarebbe più tenuta, aveva scritto al Consorzio Industriale del Lazio manifestando il proprio interesse all’acquisizione del sito. Trattandosi di aziende pronte a sborsare almeno 4,5 milioni di euro, il Consorzio avrebbe potuto sostituirsi alla curatela e una volta espropriato il compendio venderlo al miglior offerente, portando risorse nelle casse dell’ente, che già allora non navigava nell’oro. Peraltro l’esproprio è avvenuto a costo zero, perché dal valore di stima del bene andava sottratto l’ammontare degli eventuali finanziamenti pubblici ottenuti dall’azienda fallita nel corso dell’attività, e siccome i due valori si equivalgono, il Consorzio ha potuto ottenere la riacquisizione coattiva del sito industriale senza versare un solo euro.
Un’occasione irripetibile, ma le cose sono andate diversamente, perché il Consorzio ha preferito seguire una strada diversa, quella dell’affidamento diretto, anzi cessione, ad un’azienda che aveva manifestato anche lei il proprio interesse all’acquisizione del sito dismesso. Si trattava della P&D di Sermoneta, impresa operante nel settore della logistica merci. Così, senza sentire nessuno, il Consorzio partiva a testa bassa con una delibera con la quale annunciava la volontà di procedere all’esproprio e contestualmente di cedere il bene espropriato alla P&D di Sermoneta che avrebbe provveduto a risanare il sito avviando un’attività industriale di trasporto e logistica-E/commerce, secondo un progetto da presentare al Consorzio per l’approvazione entro i sei mesi successivi alla data di cessione. Guarda caso, la P&D srl era una delle cinque aziende concorrenti nella gara promossa dalla curatela fallimentare, ed è documentato che il rapporto tra P&D e Consorzio Industriale per la cessione del sito industriale sia cominciato prima dell’esproprio, circostanza che spiegherebbe almeno un paio di cose: il mancato coinvolgimento delle altre quattro imprese iscritte all’asta del tribunale fallimentare, e la intervenuta ferma volontà del Consorzio di sottrarre il sito industriale dismesso alla curatela e di conseguenza ai creditori del fallimento.
Ma restiamo ancorati al principio che vede lo scopo del Consorzio Industriale del Lazio nel rilancio industriale e occupazionale del sito di via Carrara. Nelle delibere del Cda consortile e nell’atto di cessione stipulato dal notaio è spiegato a chiare lettere che la P&D è impegnata a “mantenere un tipo di attività produttiva consentita dalla Norme tecniche di attuazione del PRT consortile con l’avvertenza che eventuali violazioni comporteranno la decadenza automatica del consenso del Consorzio all’utilizzo dell’area e del sito industriale in argomento”. La P&D è altresì impegnata a rispettare i tempi di avvio dei lavori di ristrutturazione o adeguamento del sito per le nuove attività, entro due anni dalla cessione, e ad avviare le attività produttive secondo il progetto approvato entro tre anni dalla cessione.
Finora, dal 2022 ad oggi, è accaduto che qualcosa la P&D aveva cominciato a fare nel sito di via Carrara, ma la prima attività formale è quella intrapresa nel marzo 2025 da una società diversa, la MGDR di Roma, con una comunicazione di inizio attività per la manutenzione ordinaria e straordinaria di un capannone che la P&D ha ceduto in locazione alla Codrafin srl che ha poi volturato in favore della MGDR. La locazione è prevista dal contratto, ma la MGDR si occupa con successo dell’avvio e della gestione di supermercati, attività squisitamente commerciale che sembrerebbe contrastare con le norme tecniche del PRT del Consorzio. E la MGDR si appresta a chiedere al Comune di Latina l’autorizzazione commerciale per l’apertura di un supermercato di medie dimensioni, cioè su 2500 metri quadrati di superficie.
Edificio smantellato e rifiuti interrati
La P&D, che si occupa di logistica, non ha ancora avviato alcuna attività nelle strutture divenute di sua proprietà, e finora l’unica cosa che ha fatto è affittare uno dei cannoni dell’azienda fallita. Anzi no, ha fatto anche dell’altro: ha smantellato l’edificio che ospitava circa seimila metri quadrati di celle frigorifere ed avrebbe interrato il materiale di risulta di quella operazione, almeno una trentina di tonnellate di poliuretano espanso classificato come rifiuto speciale, commettendo reati che vedono l’amministratore delegato della società indagato per danni procurati all’ambiente.


Succede anche in amore di prendere degli abbagli, ma il Consorzio Industriale non è una discoteca, e nemmeno un’agenzia di affari immobiliari; quindi ci si può sbagliare, ma bisogna avere anche la forza di tornare sui propri passi. Ma per il momento, retromarce non se ne sono viste, polemiche non ce ne sono state, i sindacati sempre attenti alle questioni del rilancio dei siti dismessi e dei livelli occupazionali non hanno nemmeno provato ad interrogarsi su quello che è accaduto e che sta succedendo sulle ceneri della ex Frigomarket Pacifico.
L’unica a manifestare interesse sulla vicenda, è la Procura della Repubblica, che stavolta non ha nemmeno ricevuto la canonica manifestazione di fiducia da parte di alcuno. Ma come abbiamo visto, si scava anche senza quella. (…Segue)
