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‘Quella notte infinita’, l’eco del terrore: una miniserie thriller che brucia…ma troppo in fretta

La recensione della serie tv diretta da Óscar Pedraza nel 2022 e disponibile su Netflix: tante buone premesse, non tutte soddisfatte

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C’è una particolare forma di tensione che solo la notte sa custodire: quella che dilata il tempo, incrina la ragione e trasforma gli uomini in creature costrette a guardarsi dentro. ‘Quella notte infinita’ (La noche mas larga), miniserie spagnola – diretta da Óscar Pedraza nel 2022 e disponibile su Netflix – che tenta con audacia la via del thriller claustrofobico, parte proprio da qui: dalla decisione di fare della notte un reagente drammaturgico, un laboratorio etico in cui tutto si deforma, tutto si rivela, tutto si consuma. È un’opera che non chiede semplicemente di essere guardata; pretende di essere vissuta, respirata, quasi subita. Peccato che non riesca a mantenere tutte le promesse iniziali…

La trama

È la vigilia di Natale quando il carcere psichiatrico di Monte Baruca viene assediato da un commando armato deciso a ottenere la consegna di un detenuto enigmatico e pericoloso. Il direttore dell’istituto rifiuta di piegarsi al ricatto e innesca una lunga notte fatta di resistenza, dilemmi morali e tensioni crescenti. La narrazione si svolge interamente nell’arco di poche ore, seguendo l’ascesa progressiva del caos

Regia: la tirannia dello spazio chiuso

La regia adotta una grammatica dell’oppressione: corridoi che diventano arterie strozzate, camere aderenti ai volti, movimenti di macchina che sembrano inseguire il respiro dei personaggi. L’impronta visiva alterna momenti di chirurgica introspezione a sequenze più fisiche e convulse, ottenendo un universo narrativo che vive di una perenne contrazione. Ogni inquadratura è pensata per incanalare la tensione e far sentire lo spettatore intrappolato insieme ai protagonisti.

Sceneggiatura: una notte che brucia, non sempre con la stessa intensità

La sceneggiatura costruisce un congegno narrativo serrato, fatto di conflitti che si accendono come scintille nel buio. Concentrando tutto in una sola notte, la serie guadagna un’impronta quasi teatrale, ma questa scelta impone un rigore che non sempre viene rispettato. Nei momenti più riusciti il testo scava nelle zone d’ombra dei personaggi, mettendo in primo piano la vertigine morale che si apre quando la legge si scontra con la sopravvivenza. Nei passaggi più deboli, invece, la scrittura cede a dinamiche prevedibili del thriller d’assedio e sacrifica la coerenza psicologica per esigenze di ritmo.

La gestione dello sviluppo narrativo e della costruzione dei personaggi rivela più di una fragilità: entrambi gli aspetti soffrono di una certa superficialità strutturale. La scelta di limitarsi a sei episodi, anziché estendere il racconto a otto o dieci, priva la serie dello spazio necessario per approfondire snodi fondamentali, costringendo gli autori, Xosé Morais e Víctor Sierra, a colmare i vuoti con dettagli biografici marginali che appesantiscono la narrazione senza arricchirla davvero. Ne consegue una suspense intermittente, incapace di condurre verso un finale pienamente soddisfacente. Anche il rapporto tra Hugo e Simón, potenzialmente il fulcro drammatico più fertile, resta sfruttato solo in superficie: la loro relazione, complessa e carica di tensioni irrisolte, avrebbe richiesto un respiro più ampio per dispiegare tutta la sua forza drammaturgica.

Interpretazioni: peccato il villain

Al centro della serie si stagliano due performance che definiscono l’intero impianto drammatico. Il direttore del carcere, Hugo, interpretato con un equilibrio impeccabile tra nervi scoperti e lucidità etica, offre un personaggio pluristratificato, costretto a ricucire contraddizioni sempre più laceranti. Il detenuto “di valore”, Simón Lago, figura enigmatica e perturbante, è incarnato con glacialità, ma manca di magnetismo, purtroppo nonostante tenti di ricordare ‘colleghi’ più illustri – ad esempio Hannibal Lecter – non è capace di trasformare ogni silenzio in minaccia. Un villain che non ha compiuto il passo decisivo per plasmare lo sguardo in intimidazione, la mimica in pericolo. Un villain senza il quid – interpretativo e di costruzione del personaggio – a cui vorrebbe far riferimento. Il risultato? Una brutta e sbiadita copia…

Il resto del cast oscilla tra interpretazioni efficaci e ruoli più funzionali alla trama che al reale sviluppo psicologico, ma nel complesso la coralità regge il peso emotivo della storia.

Personaggi: archetipi che cercano di diventare carne

I protagonisti nascono come figure archetipiche, ma la serie tenta di renderli più complessi attraverso dettagli biografici, fragilità e improvvise incrinature morali. Quando questo tentativo viene portato fino in fondo, i personaggi acquistano profondità e diventano specchi delle molte forme di paura e resistenza che abitano la notte. Quando invece la scrittura resta ancorata ai meccanismi del genere, alcune figure secondarie risultano meno incisive e più schematiche, prive di quella densità che il contesto richiederebbe.

Fotografia: la notte come sostanza materica

La fotografia è uno degli elementi più alti della serie. La notte non è semplice sfondo: è un organismo vivo, denso, che ricopre tutto con una gamma di neri sfumati, luci metalliche e improvvisi bagliori artificiali. Lo spazio carcerario è reso con una fisicità che sfiora la sensazione tattile: muri sbrecciati, neon tremolanti, ombre che sembrano espandersi come presagi. La luce diventa linguaggio narrativo, aprendo e chiudendo varchi emotivi con una precisione quasi pittorica.

Colonna sonora e suono: l’eco del terrore

La musica sceglie linee scarne, toni trattenuti, percussioni che pulsano come battiti accelerati. Il suono ambientale, fatto di chiavi, passi, metalli che cigolano, lavora sul piano psicologico e amplifica la tensione. Ogni rumore sembra avvicinare un pericolo che la regia tiene spesso fuori campo, rendendo la miniserie un’esperienza sensoriale oltre che narrativa.

Temi: l’istituzione come frattura

Sotto la superficie del thriller, Quella notte infinita esplora questioni più profonde: la fragilità delle istituzioni, la sottile linea tra giustizia e controllo, l’ambiguità morale di chi detiene il potere e di chi lo subisce. L’assedio diventa una metafora della vulnerabilità sociale e della difficoltà di mantenere un codice etico quando l’ordine vacilla.

Un’opera carica di ambizioni ma troppo frettolosa

Quella notte infinita è una miniserie che affonda le radici nel genere ma tenta costantemente di superarlo, spingendo il linguaggio visivo e la psicologia dei personaggi verso un territorio più complesso. Non è un’opera priva di imperfezioni, soprattutto sul piano della scrittura, ma ciò che riesce a ottenere in termini di atmosfera, tensione e profondità emotiva la rende un’esperienza di valore, intensa e inquieta, destinata a lasciare una scia lunga quanto la notte che racconta. Purtroppo, il suo più grave peccato è la frettolosità: nonostante le buone premesse e l’alone potente di mistero, la serie non riesce quindi a soddisfare appieno: interessa, attira lo spettatore ma resta incompiuta e irrisolta.

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