Arriva dal congresso nazionale Basic Pain Support – Aggiornamenti in terapia del dolore, giunto alla sua quarta edizione, un appello chiaro e urgente: il dolore cronico deve essere riconosciuto come una priorità di salute pubblica. Gli specialisti riuniti a Roma nelle scorse settimane avvertono che ignorare un dolore persistente espone al rischio concreto che questo si trasformi in una patologia stabile, complessa e sempre più difficile da trattare, una condizione che in Italia interessa milioni di persone.
I dati presentati al congresso parlano chiaro: oltre il 24% degli adulti italiani soffre di dolore cronico, pari a più di 10,5 milioni di persone, una percentuale in linea con quella degli altri Paesi europei. Circa un terzo di questi pazienti convive con un dolore ad alto impatto, capace di compromettere seriamente la qualità della vita e la capacità lavorativa. Sono soprattutto questi i pazienti che arrivano nei centri specialistici di terapia del dolore.
Esiste però una vasta maggioranza silenziosa di persone che, pur soffrendo, non riesce ad accedere a percorsi di cura adeguati. Molti ricorrono all’automedicazione, come dimostrano i dati sugli acquisti autonomi di analgesici e antinfiammatori. Una pratica che comporta rischi significativi, tra eventi avversi e interazioni farmacologiche potenzialmente pericolose, e che spesso non risolve il problema alla radice.
Il congresso ha ribadito la necessità di rafforzare un approccio realmente interdisciplinare alla gestione del dolore cronico. Coinvolgere specialisti di diverse discipline diventa fondamentale per intercettare e prendersi carico anche di quei pazienti che oggi restano ai margini dei percorsi di cura. Particolare attenzione è stata dedicata ai pazienti fragili e all’aggiornamento sulle più recenti innovazioni scientifiche.
Il dolore cronico, oggi, non viene più considerato un semplice sintomo, ma l’espressione di un vero e proprio cambiamento del sistema nervoso. Se trascurato, può compromettere mobilità, sonno, autonomia lavorativa, relazioni sociali e salute mentale. Molti pazienti vivono una quotidianità segnata da ansia, depressione, affaticamento costante e da un uso sempre più frequente di farmaci nel tentativo, spesso inefficace, di contenere il dolore.
Negli ultimi anni la ricerca ha individuato nella neuroinfiammazione uno dei meccanismi centrali della cronicizzazione del dolore. In condizioni normali, le cellule immunitarie presenti nel cervello e nel midollo spinale svolgono una funzione di equilibrio e protezione del sistema nervoso. Quando però questi processi infiammatori restano attivi troppo a lungo, possono generare alterazioni responsabili di patologie degenerative e di sindromi dolorose croniche, come la fibromialgia o la sindrome dell’intestino irritabile.
Secondo gli esperti, il fattore decisivo è il tempo. Riconoscere e trattare il dolore cronico nelle fasi iniziali aumenta in modo significativo le possibilità di intervenire in maniera efficace, modulando i processi di neuroinfiammazione e impedendo che il dolore diventi una presenza permanente nella vita del paziente. Questo approccio è essenziale anche nelle forme più comuni di dolore cronico, come quello osteoarticolare o le neuropatie dolorose. Ritardare le cure, al contrario, espone a percorsi terapeutici più complessi e con minori probabilità di successo.
Per questo motivo l’appello lanciato dal congresso è rivolto non solo alla comunità medica, ma anche alle istituzioni e ai cittadini. Il dolore cronico non è un fastidio passeggero né una condizione da sopportare: è una presenza invisibile che erode lentamente qualità della vita, energie e autonomia. Servono diagnosi tempestive, percorsi di cura strutturati e una maggiore consapevolezza dei meccanismi che lo generano. Intervenire subito può evitare anni di sofferenza e impedire che una condizione spesso reversibile si trasformi in una malattia permanente.
