«Si dice spesso che quando un paziente riceve una diagnosi di tumore in realtà si ammala tutta la famiglia. Per me e per la mia famiglia è stato così». A 23 anni Giulia ha perso la mamma per un tumore del pancreas, una malattia ancora oggi molto complessa da curare, che non dà sintomi evidenti sino a quando è in fase avanzata e che ha uno dei tassi di sopravvivenza più bassi. «Noi non avevamo mai sentito parlare di tumore al pancreas – racconta Giulia – fin quando mamma Filomena non ha ricevuto la diagnosi a dicembre 2016. Da un giorno all’altro ha assunto un colorito giallo: aveva un tumore della testa del pancreas e ci dissero subito che purtroppo non era operabile. In realtà aveva avuto alcuni mesi di disturbi gastrici poco specifici, difficoltà digestive e reflusso; l’ecografia mostrava una cistifellea infiammata da togliere. In ospedale, poi, con la tac hanno visto che era altro». – Così Giulia ha scelto di raccontare la sua storia attraverso la Fondazione Umberto Veronesi.
Quei sintomi sfuggenti
I sintomi del tumore del pancreas sono variabili, a seconda del tipo di patologia, raramente si manifestano nei primi stadi di malattia e soprattutto sono piuttosto comuni, sperimentati da tante persone per motivi che nulla hanno a che fare con un tumore. Fra gli altri, l’ingiallimento di pelle e occhi (per i tumori della testa del pancreas), la perdita di peso, dolori addominali, feci oleose; talvolta compaiono sintomi tipici del diabete iniziale, come sete anomala, affaticamento e bisogno frequente di urinare.
«Con mia sorella e mio fratello abbiamo cercato informazioni, girato in cerca dei migliori specialisti – prosegue Giulia -. Ma tutti hanno potuto soltanto confermarci che non c’erano possibilità di guarigione. Dopo alcuni cicli di cure, mia madre si è spenta nel mese di giugno. Erano passati poco più di sei mesi dalla diagnosi e aveva 58 anni». Nella foto Filomena è insieme al papà di Giulia, anche lui scomparso, «e questa è l’immagine che per me rappresenta, ancora oggi, l’unità della nostra famiglia».
“Dove sta in pancreas?”
E oggi? «Da sei anni lei non c’è più ma è nei miei pensieri, ogni giorno. Penso anche che ad oggi il tumore al pancreas resta uno dei tumori più difficili da diagnosticare in tempo ed è poco conosciuto. Quando accadde a noi ci fu anche chi mi disse: “Oddio, dove sta il pancreas?”. Anche oggi quando parlo della mia storia spesso c’è un po’ di sorpresa, di disorientamento. Molti non sanno che cos’è questa malattia, che è difficile da vedere, che i sintomi sono subdoli. Non conoscono i fattori che aumentano il rischio e quel che possiamo fare per ridurlo. In molti credono che sia un tumore super-raro, invece sento di persone che si ammalano. Per questo ho deciso di agire, per migliorare la consapevolezza delle persone e per promuovere la ricerca. Si investe troppo poco in ricerca e in prevenzione, dobbiamo fare la nostra parte, è nel nostro interesse. Ho aperto una raccolta fondi in memoria di mia madre, per le persone in questo momento affette dal tumore al pancreas e per quelle che riceveranno la diagnosi in futuro, affinché la ricerca faccia passi in avanti e ci siano più possibilità di cura».
Grande impatto, poca conoscenza
Anche se è meno diffuso di altri tumori (ottavo fra gli uomini e quinto fra le donne, in Europa), il tumore del pancreas è la quarta causa di morte per cancro in Europa (7,4% di tutti i decessi oncologici). In Italia nel 2022 si sono ammalate 14.500 persone e in totale vivono 21.200 uomini e donne che hanno avuto una diagnosi di tumore del pancreas. A pesare è la scoperta spesso tardiva (meno di un quinto dei casi alla diagnosi si presenta operabile con intento curativo) e i trattamenti disponibili ancora poco efficaci. Da tempo le percentuali di sopravvivenza sono pressoché ferme e a cinque anni dalla diagnosi sono vivi 11-12 pazienti su cento. Oggi ci si attende un aumento dei casi e dei decessi, prevalentemente dovuti all’invecchiamento della popolazione. L’età media della diagnosi in Europa, infatti, è di 71 anni per gli uomini e 75 per le donne. Eppure, la maggior parte delle persone si dichiara poco informata sull’argomento, dai sintomi ai fattori di rischio.
I fattori di rischio
Oltre all’età ci sono dei fattori modificabili che aumentano la probabilità di sviluppare un tumore pancreatico. Il primo è il fumo di sigaretta, poi l’obesità, la sedentarietà, l’elevato consumo di alcol e di grassi saturi, carni rosse e alimenti processati, scarso consumo di verdure e frutta. Sono comportamenti che incidono parzialmente sul rischio di ammalarsi, ma hanno una caratteristica cruciale: si possono correggere, evitando fino ad un terzo – così stimano gli esperti – dei casi di cancro pancreatico. Una storia di pancreatite cronica, diabete o una pregressa gastrectomia sono anche associate a un rischio aumentato. Si stima che in un caso su dieci ci sia una storia familiare, che può essere dovuta ad alcune specifiche condizioni genetiche ereditabili, come la sindrome di Peutz-Jeghers, la sindrome familiare con nevi atipici multipli e melanoma, la mutazione del gene BRCA2, la pancreatite ereditaria e la sindrome di Lynch.
Eppure la ricerca non si ferma
E la ricerca? Si stanno studiando nuovi farmaci, da soli e in combinazione; miglioramenti significativi si sono ottenuti con l’introduzione dei PARP-inibitori per i pazienti portatori di mutazioni dei geni BRCA (fra il 4 e il 7 per cento del totale). Si studiano le interazione fra il tumore e il sistema immunitario per intervenire sui fattori che promuovono la malattia, si lavora sui fattori predisponenti per identificare sempre meglio le persone a rischio e poter ipotizzare dei programmi di sorveglianza per aumentare le possibilità di diagnosi precoce. – Fonte Fondazione Umberto Veronesi.