Chi vive in provincia di Latina lo sa bene: qui ci si muove quasi esclusivamente in auto. Non per scelta, ma per necessità. È un territorio esteso, frammentato, con collegamenti pubblici deboli e spesso poco frequenti, dove ogni spostamento – lavoro, scuola, salute, burocrazia – richiede un mezzo privato. La mobilità, più che una questione di comodità, è un obbligo quotidiano. E in una provincia con redditi medio-bassi e consumi frenati, questo obbligo pesa eccome.
Il quadro nazionale parla chiaro: in Italia il 65% degli spostamenti quotidiani avviene in automobile. Nel Lazio la percentuale sale al 68,9%. Ma a Latina si va oltre, perché qui il trasporto pubblico non rappresenta un’alternativa reale. Le distanze interne, la distribuzione urbanistica e la carenza di collegamenti rendono l’auto il perno attorno al quale ruota tutta la vita quotidiana.
Secondo l’ultima indagine sulla Qualità della Vita de Il Sole 24 Ore, Latina è la 76ª provincia italiana per tasso di motorizzazione: 72 veicoli ogni 100 abitanti. Un dato che racconta da solo l’organizzazione del territorio. Significa che quasi tutte le famiglie possiedono almeno un’auto, e spesso anche due o tre, perché senza di esse non si riesce a raggiungere ciò che serve. È un modello di mobilità che assorbe risorse economiche, tempo e attenzione, ma che in cambio offre poco in termini di qualità della vita e sicurezza degli spostamenti.
Secondo Federcarrozzieri, mantenere un’automobile costa in media circa 4.000 euro l’anno. Per molte famiglie della provincia, dove il reddito medio è più basso rispetto al dato nazionale (si parla di una media di 19.339 euro annui per lavoratore dipendente, 69esimi in Italia) questa cifra rappresenta un impegno economico enorme.
Il punto più critico riguarda chi un’auto non può permettersela: giovani in cerca di lavoro, studenti senza mezzi, anziani, famiglie vulnerabili, persone con redditi troppo bassi o con lavori precari.
Senza auto, nella provincia di Latina, si rischia di essere tagliati fuori: non si raggiungono i poli scolastici e sanitari più distanti; si fatica ad arrivare nelle aree produttive o artigianali; si rinuncia a attività sociali e culturali; si dipende da passaggi, navette scolastiche (dove esistono) o orari rigidi. È una forma di esclusione silenziosa ma concreta, che tocca migliaia di persone e crea un divario interno tra chi può muoversi liberamente e chi, invece, resta bloccato.
